domenica 28 maggio 2017

Quando è ora?


LAURA BRANDOLI, Alba chiara

Ascensione del Signore
Atti 1,1-11
Sl 46
Ef 1,17-23
Mt 28,19-20

Da bambini il tempo non passa mai. E ti stanchi di aspettare… la festa… l’arrivo di un amico… il regalo… il gelato… E non vedi l’ora di diventare grande. E poi, da giovane, non vedi l’ora di passare l’esame, di laurearti… di trovare lavoro… di sposarti… la nascita di un figlio…
Quando è ora?
Da adulto continui a ripeterla questa domanda. La vita è fatta di attese. Chissà, forse è la domanda che ci facciamo più spesso: quando è ora?
C’è nella Scrittura: “Sentinella, quanto resta della notte?” (Is 21,11). L’attesa più grande, come una sete, è l’attesa del giorno, lo sanno i malati. L’attesa della luce. Perché troppo spesso è notte nella vita. Nonostante tante gioie, tante soddisfazioni, tante mete raggiunte… ne restano sempre tante desiderate… rincorse… e che sembrano sempre così lontane. Tante le frustrazioni, gli impedimenti…. Restano i desideri e le mete più importanti, quelli che sentiamo come il vero frutto della vita, quelli che danno senso alla vita, quelli che danno pace al cuore, e gioia profonda. Sono le risposte alla speranza di vita, di pace, di salvezza non solo per noi stessi, ma per la famiglia che amiamo, per la chiesa a cui apparteniamo, per la società in cui viviamo. Quante paure! E quanti desideri, quante attese, quante lotte che sembrano senza risultati, senza frutti, senza risposte… e cresce la sete, l’attesa… Quando è ora?

È la domanda che i discepoli fecero a Gesù nell’ultimo incontro con lui in Galilea, là dove tutto era iniziato: “Signore, è questo il tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?”. In fondo erano andati dietro a lui con questa attesa: che lui ricostituisse il regno di Israele. E il frutto atteso di questo regno era lo shalom: la pace quella vera fatta di libertà, di vita, di senso, di benedizione, di realizzazione, di relazioni serene, di comunione vera.
Avevano visto crocifisso e sepolto Colui nel quale avevano sperato e i due che andavano sconsolati verso Emmaus avevano smesso di sperare. Ma Lui era tornato, vivo di una vita nuova, piena e invincibile, feconda di pace. Era dunque quella l’ora? Finalmente era giunta?
Ma la risposta di Gesù, che in fondo conferma di essere venuto a realizzare questo regno, lascia… con il cuore in attesa. Ancora. È una risposta misteriosa.
“Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samarìa e fino ai confini della terra”.
Occorre ascoltare profondamente questa risposta. Pare che Gesù ci metta – noi suoi discepoli – di fronte a un mistero che non è solo il volere del Padre, ma un mistero che chiama in causa la nostra stessa volontà, la nostra vita e la risposta che siamo disposti a offrire. Il mistero della volontà del Padre si mescola e impasta con la nostra risposta. Non era accaduto così con la vita e la risposta di Gesù di Nazaret alla volontà del Padre?
Ai discepoli di allora e a noi discepoli di oggi – che rischiamo, come quelli di Emmaus, di sopire la speranza, di non attendere più – viene l’invito, in questa festa\mistero dell'Ascensione, a non stare con il naso all’’in su ad attendere segni dal cielo, perché anche se è salito al cielo, il Risorto, Dio fatto uomo per sempre, seduto alla destra del Padre, continua a camminare sulla terra. Ha il volto delle donne e degli uomini che camminano sulla terra oggi, in mezzo alle gioie, ai dolori, alle attese, alle speranze, alle delusioni, alle lotte, alle sconfitte, all’amore e all’odio, alla solidarietà e alle guerre, alle generosità e agli egoismi. E ha il mio volto. La mia voce. Le mie mani. Di ciascun discepolo e discepola. Per continuare a lavorare perché giunga il suo regno di pace, di bellezza, di giustizia, di verità, di gioia.
Alla domanda “Sentinella, quanto resta della notte?”, Isaia aveva risposto: “Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare, domandate, convertitevi, venite!” (Is 21,12).
Alla domanda dei discepoli Gesù risponde che lo Spirito – se lo accogliamo – ci renderà capaci di testimoniarlo dove siamo e dove siamo inviati, fino ai confini della terra. Spesso questi confini, i più lontani, sono dentro di noi. Dentro di noi discepoli. Ma intanto cominciamo ogni giorno a testimoniarlo, in noi e per gli altri.
Quale sia la testimonianza, Gesù ce lo chiarisce nel Vangelo di Matteo, in questa festa dell’Ascensione: “Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato”. Il suo comando è la testimonianza di un annuncio corredato di amore. Amore agli altri. Ma anche a noi stessi. Sì, possiamo amarci. Perché siamo amati da Lui. Nonostante tutto: limiti, problemi e peccati. No, no nonostante. Ma proprio là, nei nostri limiti, problemi, contraddizioni, sconfitte, siamo amati. E proprio attraverso i nostri limiti, problemi, contraddizioni, sconfitte, possiamo testimoniare un annuncio di vita, di speranza, di amore. Non ci ha forse amati mentre era sulla croce? Più limitato e sconfitto di così! Ma l’amore ha sconfitto la potenza del dolore e della morte. “Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
E allora, quando è ora? Forse è già questa l’ora.