domenica 29 settembre 2019

La prospettiva


JACOPO DA BASSANO, Lazzaro e il ricco epulone, 1554

XXVI domenica del Tempo Ordinario
Am 6,1.4-7
Sal 145
1Tim 6,11-16
Lc 16, 19-31

Fastidiosa questa pagina di Vangelo. E non è la sola. Ma c'è un modo per renderla "facile". Basta farne un manifesto di giustizia sociale, il cui autore, Gesù, sarebbe un rivoluzionario socio-politico. Chi la legge così, di solito si identifica come difensore dei poveri, che combatte i ricchi.
Sicuramente la Parola di Gesù è più alta e più profonda. Meno "facile". Perché tocca la mia coscienza, anzitutto.
Mi piace ricordare quanto scriveva don Lorenzo Milani all'amico Pipetta, nel 1950.
Caro Pipetta,
...
E' un caso, sai, che tu mi trovi a lottare con te contro i signori. San Paolo non faceva così...
Mi piego, Pipetta, a soffrire con te delle ingiustizie...
Hai ragione, sì, hai ragione, tra te e i ricchi sarai sempre te povero ad aver ragione.
Anche quando avrai il torto di impugnare le armi ti darò ragione.
Ma come è poca parola questa che tu m'hai fatto dire. Come è poco capace di aprirti il Paradiso questa frase giusta che tu m'hai fatto dire. Pipetta, fratello, quando per ogni tua miseria io patirò due miserie, quando per ogni tua sconfitta io patirò due sconfitte, Pipetta quel giorno, lascia che te lo dica subito, io non ti dirò più come dico ora: "Hai ragione". Quel giorno finalmente potrò riaprire la bocca all'unico grido di vittoria degno d'un sacerdote di Cristo: "Pipetta, hai torto. Beati i poveri perché il Regno dei Cieli è loro".
Ma il giorno che avremo sfondata insieme la cancellata di qualche parco, installata insieme la casa dei poveri nella reggia del ricco, ricordatene Pipetta, non ti fidar di me, quel giorno io ti tradirò.
Quel giorno io non resterò là con te. Io tornerò nella tua casuccia piovosa e puzzolente a pregare per te davanti al mio Signore crocifisso. Quando tu non avrai più fame né sete, ricordatene Pipetta, quel giorno io ti tradirò. Quel giorno finalmente potrò cantare l'unico grido di vittoria degno d'un sacerdote di Cristo: "Beati i... fame e sete".
Ecco, Gesù ci costringe a non guardare la ricchezza e la povertà solo da un punto di vista umano, di giustizia sociale - sicuramente necessaria. Occorre comprendere il senso della ricchezza e della povertà non dalla prospettiva della partenza - la realtà di questo mondo - ma della meta. Il discepolo di Gesù deve necessariamente comprendere il senso della vita a partire dalla fine e dal fine.
La conclusione del racconto di Gesù ci illumina. Il peccato del ricco non sta nella sua ricchezza, ma nel suo cuore chiuso, che accecato dalle ricchezze neanche si accorge del dolore del povero. E a quel povero, alla fine, chiede l'elemosina di un goccio d'acqua. Ha sbagliato prospettiva. E perde se stesso.
Ha sbagliato perché non ha ascoltato la Parola di Dio: unico Pane, unica Acqua che restano in eterno, unica vera ricchezza, in questo mondo e nell'altro; per ogni ricco e per ogni povero di questo mondo, dove l'inizio della giustizia sociale si chiama accoglienza, solidarietà, condivisione, amore. Che sono anche l'inizio del Paradiso in questo mondo. Mentre il cuore chiuso e l'indifferenza davanti al dolore sono l'inizio dell'inferno in questo mondo.
L'ascolto della Parola - non le apparizioni di santi o di morti - ci dice chi siamo: tutti poveri, anche se abbiamo dei beni, che non sono la vera ricchezza; tutti ricchi, se abbiamo amore da donare. Tutti fratelli e sorelle, figli di un Padre che ha dato  a noi poveri tutta la sua ricchezza: il Figlio unigenito crocifisso e risorto.


venerdì 21 dicembre 2018

Dov'è?


LEANDRO BASSANO, Annuncio ai pastori, sec XVI/XVII

Natale del Signore

“Vi annuncio una gioia grande”
dice l’angelo ai pastori,
“una gioia per tutto il popolo: è nato per voi il Salvatore”.
Proprio a loro, ai pastori,
gente impura esclusa dal tempio,
viene annunciata una gioia da condividere con tutti;
sì, tutti, anche i puri frequentatori del tempio
dai pastori dovranno ricevere la grande notizia.
La grande gioia tanto desiderata,
la grande notizia tanto attesa…
da essere quasi dimenticata:
un bambino,
il Salvatore.
Solo chi si sente perduto, però,
attende la salvezza e ne aspetta la notizia. I pastori…
Non i puri, non i padroni del tempio,
non i potenti, non i signori della storia,
non chi si crede già al sicuro…
non chi si crede “di Dio”.
Non c’è notizia per chi non attende nulla, non cerca nulla,
se non se stesso e il proprio potere.
Ma dov’è il bambino?
In una mangiatoia: pane per la fame di tutti i poveri,
anche quelli ricchi.
A Betlemme: casa del pane.
Solo gli affamati, poveri e ricchi,
con i pastori lo potranno conoscere.

LEANDRO BASSANO, Adorazione dei pastori


Una stella, dal lontano oriente, avverte e convoca
sapienti che non conoscono gli angeli di Dio,
ma nell’opera di Dio sanno leggere la sua Parola onnipotente.
Ricchi sapienti poveri, affamati anche loro
di bellezza, di amore, di semplicità, di santità, di verità, di pace,
di luce.
Seguono la stella e il desiderio cresce
e l’attesa dell’incontro:
“Dov’è il re bambino?”

ANTONIO BALESTRA, Adorazione dei Magi, sec. XVII/XVIII

domenica 9 dicembre 2018

Ingegneria stradale

Seconda domenica di Avvento C
Bar 5,1-9
Sl 125
Fil 1,4-6.8-11
Lc 3,1-6

A Roma le buche sulle strade provocano innumerevoli incidenti anche gravi. Ma solo a Roma? A Genova cade il ponte e non solo provoca 43 morti, ma divide in due la città. Solo a Genova cadono i ponti?
Intanto già da tempo è iniziata la preparazione "laica" (?!) al Natale: luminarie, alberi addobbati, negozi strapieni di merce e di acquirenti... e conflitti ideologici sull'opportunità o meno di allestire presepi nelle scuole e nei luoghi pubblici, perché potrebbero offendere qualcuno e impedire le buone relazioni e l'integrazione tra culture diverse. E pensare che Colui che è nato nel presepe pretendeva di essere Principe della pace!
Oggi - ma forse sempre - dovremmo pensarci bene prima di andare a messa, perché Dio oggi si presenta come ingegnere stradale deciso a riempire le buche, a rendere piane e sicure le strade, facilmente percorribili. Per noi. E allora potremmo dire: finalmente!
Ma ci sentiamo anche dire, proprio da Dio, che lui non lavora da solo e vuole la nostra collaborazione. Forse per noi, invece, è molto più facile far cadere i ponti e scavare fossi o trincee. E ne abbiamo sempre validissimi motivi: politici, sociali, sindacali, culturali, economici soprattutto (visto che a governarci realmente sono i mercati!), ma anche emotivi e affettivi. Insomma anche Dio deve capire che sì ci piacerebbero le strade spianate e sicure ma, inevitabilmente, siamo costretti a creare fossati. Comunque anche oggi, importante è andare a messa e mettere tranquillo Dio. Poi la Parola di Dio... è bella... ma la vita è un'altra cosa. Stia tranquillo Dio e ci aiuti in ciò che chiediamo, e stiamo tranquilli anche noi e cerchiamo di fare festa a Natale. 
Tanto tranquilli, poi, non stiamo, con le lotte politiche e sociali, con guai economici, con conflitti e divisioni familiari, figli sbattuti da una parte all'altra, violenze di ogni genere, con manifestazioni falsamente pacifiche, odi e rancori e paure e con l'inutile ricerca di una giustizia che cerchiamo dove non c'è.
Ma come comprendere le misteriose parole di Isaia citate dal più misterioso Giovanni Battista, nel Vangelo di oggi?



Ieri, solennità dell'Immacolata Concezione di Maria, in Algeria, sono stati beatificati 19 martiri cristiani, uccisi tra il 1994 e il 1996, dai terroristi islamici, che uccisero anche molti musulmani. Sette di questi martiri erano monaci trappisti del monastero di Notre Dame de l'Atlas a Tibhirine, a sud di Algeri, rapiti in marzo 1996 e uccisi nel maggio successivo. Avevano scelto di vivere in un paese a maggioranza musulmano per essere oranti in mezzo ad altri oranti, per servire i poveri di qualunque religione. Per essere testimonianza di Pace, la Pace che è Gesù Cristo.
Sapendo bene il rischio che correvano in quegli anni di violenze, avevano scelto di rimanere, perché la loro vita era già stata donata e nessuno avrebbe potuto rubargliela.
Il priore, p. Christian de Chergé, francese nato in Algeria, ci ha lasciato il testamento spirituale. Mi pare che sia una vera luce per ascoltare e comprendere la Parola di oggi. E non è che tutti, per appianare le strade della nostra vita nella pace, dobbiamo finire decapitati, ma cominciare a donare la vita nei modi più quotidiani.


Testamento spirituale del Padre Christian de Chergé:

Quando si profila un ad-Dio.
Se mi capitasse un giorno – e potrebbe essere oggi – di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia, si ricordassero che la mia vita era “donata” a Dio e a questo paese. Che essi accettassero che l’unico Signore di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che pregassero per me: come essere trovato degno di una tale offerta? Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.
La mia vita non ha valore più di un’altra. Non ne ha neanche di meno. In ogni caso non ha l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca. Venuto il momento, vorrei poter avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nello stesso tempo di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.
Non potrei augurarmi una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che questo popolo che io amo venisse indistintamente accusato del mio assassinio. Sarebbe pagare a un prezzo troppo alto ciò che verrebbe chiamata, forse, la “grazia del martirio”, doverla a un Algerino, chiunque sia, soprattutto se egli dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l’Islam.
So di quale disprezzo hanno potuto essere circondati gli Algerini, globalmente presi, e conosco anche quali caricature dell’Islam incoraggia un certo islamismo. E’ troppo facile mettersi la coscienza a posto identificando questa via religiosa con gli integrismi dei suoi estremismi.
L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa, sono un corpo e un anima. L’ho proclamato abbastanza, mi sembra, in base a quanto ho visto e appreso per esperienza, ritrovando così spesso quel filo conduttore del Vangelo appreso sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima Chiesa proprio in Algeria, e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.
La mia morte, evidentemente, sembrerà dare ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo, o da idealista: “Dica, adesso, quello che ne pensa!”. Ma queste persone debbono sapere che sarà finalmente liberata la mia curiosità più lancinante. Ecco, potrò, se a Dio piace, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i Suoi figli dell’Islam così come li vede Lui, tutti illuminati dalla gloria del Cristo, frutto della Sua Passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre di stabilire la comunione, giocando con le differenze.
Di questa vita perduta, totalmente mia e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per questa gioia, attraverso e nonostante tutto.
In questo “grazie” in cui tutto è detto, ormai della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, insieme a mio padre e a mia madre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e a loro, centuplo regalato come promesso!
E anche te, amico dell’ultimo minuto che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo “grazie”, e questo “a-Dio” nel cui volto ti contemplo. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in Paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due.
Amen! Inch’Allah.
Algeri, 1° dicembre 1993
Tibihrine, 1° gennaio 1994