domenica 9 dicembre 2018

Ingegneria stradale

Seconda domenica di Avvento C
Bar 5,1-9
Sl 125
Fil 1,4-6.8-11
Lc 3,1-6

A Roma le buche sulle strade provocano innumerevoli incidenti anche gravi. Ma solo a Roma? A Genova cade il ponte e non solo provoca 43 morti, ma divide in due la città. Solo a Genova cadono i ponti?
Intanto già da tempo è iniziata la preparazione "laica" (?!) al Natale: luminarie, alberi addobbati, negozi strapieni di merce e di acquirenti... e conflitti ideologici sull'opportunità o meno di allestire presepi nelle scuole e nei luoghi pubblici, perché potrebbero offendere qualcuno e impedire le buone relazioni e l'integrazione tra culture diverse. E pensare che Colui che è nato nel presepe pretendeva di essere Principe della pace!
Oggi - ma forse sempre - dovremmo pensarci bene prima di andare a messa, perché Dio oggi si presenta come ingegnere stradale deciso a riempire le buche, a rendere piane e sicure le strade, facilmente percorribili. Per noi. E allora potremmo dire: finalmente!
Ma ci sentiamo anche dire, proprio da Dio, che lui non lavora da solo e vuole la nostra collaborazione. Forse per noi, invece, è molto più facile far cadere i ponti e scavare fossi o trincee. E ne abbiamo sempre validissimi motivi: politici, sociali, sindacali, culturali, economici soprattutto (visto che a governarci realmente sono i mercati!), ma anche emotivi e affettivi. Insomma anche Dio deve capire che sì ci piacerebbero le strade spianate e sicure ma, inevitabilmente, siamo costretti a creare fossati. Comunque anche oggi, importante è andare a messa e mettere tranquillo Dio. Poi la Parola di Dio... è bella... ma la vita è un'altra cosa. Stia tranquillo Dio e ci aiuti in ciò che chiediamo, e stiamo tranquilli anche noi e cerchiamo di fare festa a Natale. 
Tanto tranquilli, poi, non stiamo, con le lotte politiche e sociali, con guai economici, con conflitti e divisioni familiari, figli sbattuti da una parte all'altra, violenze di ogni genere, con manifestazioni falsamente pacifiche, odi e rancori e paure e con l'inutile ricerca di una giustizia che cerchiamo dove non c'è.
Ma come comprendere le misteriose parole di Isaia citate dal più misterioso Giovanni Battista, nel Vangelo di oggi?



Ieri, solennità dell'Immacolata Concezione di Maria, in Algeria, sono stati beatificati 19 martiri cristiani, uccisi tra il 1994 e il 1996, dai terroristi islamici, che uccisero anche molti musulmani. Sette di questi martiri erano monaci trappisti del monastero di Notre Dame de l'Atlas a Tibhirine, a sud di Algeri, rapiti in marzo 1996 e uccisi nel maggio successivo. Avevano scelto di vivere in un paese a maggioranza musulmano per essere oranti in mezzo ad altri oranti, per servire i poveri di qualunque religione. Per essere testimonianza di Pace, la Pace che è Gesù Cristo.
Sapendo bene il rischio che correvano in quegli anni di violenze, avevano scelto di rimanere, perché la loro vita era già stata donata e nessuno avrebbe potuto rubargliela.
Il priore, p. Christian de Chergé, francese nato in Algeria, ci ha lasciato il testamento spirituale. Mi pare che sia una vera luce per ascoltare e comprendere la Parola di oggi. E non è che tutti, per appianare le strade della nostra vita nella pace, dobbiamo finire decapitati, ma cominciare a donare la vita nei modi più quotidiani.


Testamento spirituale del Padre Christian de Chergé:

Quando si profila un ad-Dio.
Se mi capitasse un giorno – e potrebbe essere oggi – di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia Chiesa, la mia famiglia, si ricordassero che la mia vita era “donata” a Dio e a questo paese. Che essi accettassero che l’unico Signore di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che pregassero per me: come essere trovato degno di una tale offerta? Che sapessero associare questa morte a tante altre ugualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.
La mia vita non ha valore più di un’altra. Non ne ha neanche di meno. In ogni caso non ha l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca. Venuto il momento, vorrei poter avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nello stesso tempo di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.
Non potrei augurarmi una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che questo popolo che io amo venisse indistintamente accusato del mio assassinio. Sarebbe pagare a un prezzo troppo alto ciò che verrebbe chiamata, forse, la “grazia del martirio”, doverla a un Algerino, chiunque sia, soprattutto se egli dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l’Islam.
So di quale disprezzo hanno potuto essere circondati gli Algerini, globalmente presi, e conosco anche quali caricature dell’Islam incoraggia un certo islamismo. E’ troppo facile mettersi la coscienza a posto identificando questa via religiosa con gli integrismi dei suoi estremismi.
L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa, sono un corpo e un anima. L’ho proclamato abbastanza, mi sembra, in base a quanto ho visto e appreso per esperienza, ritrovando così spesso quel filo conduttore del Vangelo appreso sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima Chiesa proprio in Algeria, e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani.
La mia morte, evidentemente, sembrerà dare ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo, o da idealista: “Dica, adesso, quello che ne pensa!”. Ma queste persone debbono sapere che sarà finalmente liberata la mia curiosità più lancinante. Ecco, potrò, se a Dio piace, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i Suoi figli dell’Islam così come li vede Lui, tutti illuminati dalla gloria del Cristo, frutto della Sua Passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre di stabilire la comunione, giocando con le differenze.
Di questa vita perduta, totalmente mia e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per questa gioia, attraverso e nonostante tutto.
In questo “grazie” in cui tutto è detto, ormai della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, insieme a mio padre e a mia madre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e a loro, centuplo regalato come promesso!
E anche te, amico dell’ultimo minuto che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo “grazie”, e questo “a-Dio” nel cui volto ti contemplo. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in Paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due.
Amen! Inch’Allah.
Algeri, 1° dicembre 1993
Tibihrine, 1° gennaio 1994


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