MARKO RUPNIK, Maestro, dove abiti?
II domenica T. O.
Gv 1,35-42
Si
somigliano molto l’inizio della Bibbia – che è l’inizio del libro della Genesi
– con l’inizio del Vangelo di Giovanni, anche se diversi secoli separano i due
autori. Ambedue i libri iniziano con il riferimento al “principio” e, se si
legge in profondità, se si ascolta non solo con le orecchie, si intuisce che
non si tratta del principio della storia o di una storia; sembra piuttosto un
“principio” vitale, come un seme o una radice. Un cuore. Un volto. Il cuore e
il volto che è Dio. E poiché Dio è impossibile all’uomo vederlo, Egli crea un
modo per farsi trovare e vedere. Nel libro della Genesi, Dio imprime la sua
stessa immagine nell’uomo e nella donna, perché non sia difficile o impossibile
l’incontro… e l’amore. Nel Vangelo di Giovanni, Dio stesso diventa carne umana.
Ormai nessuno più può dire che Dio non si vede.
Eppure
l’incontro non sarà mai scontato. Perché la persona non è scontata. Né l’uomo,
né Dio. E l’amore non è scontato. Ciò che è scontato ci passa davanti senza che
ce ne accorgiamo.
L’amore
è attrazione e desiderio, è decisione di dono e di dedizione, è passione di
conoscenza e di comunione. L’amore è “principio” di vita. E quel “principio” ha
il sapore e la melodia della ricerca, della domanda.
Nel
libro della Genesi, è Dio, il creatore, che cerca l’umanità. La prima ricerca è
scritta proprio nella creazione e nella gioia del creatore che ne contempla con
amore la bellezza. Ma poi la domanda diventa “parola” di desiderio: “Dove
sei?”.
Dio
cerca l’umanità che ha perso se stessa e Dio. E la domanda non attende una
risposta per Dio, ma per l’umanità stessa. Se non so dove sono, se non conosco
e non trovo me stessa, non troverò nessuno: né donna o uomo, né Dio. “Dove
sei?”: la domanda dell’amore che mi permette di sentirmi viva, desiderata,
amata. Il dolore infinito è non avere nessuno che mi cerca. Solo quando mi
sento cercato, posso cominciare a sapere dove sono, e chi sono, fossi anche
precipitato nella valle delle tenebre.
E
posso, a mia volta, cominciare a cercare: me stessa, e l’uomo e la donna, e
Dio. Ed è il principio della vita. Cercare per amare, perché solo l’amore è
vita. Il dolore infinito è non cercare me stessa, né Dio, e nessuno.
E
anche all’inizio del Vangelo di Giovanni, una domanda: “Che cercate?”.
È
sempre Dio, in Gesù, che interroga, ma stavolta è l’umanità che è in ricerca.
L’umanità
cercata da Dio, ora cerca… che cosa? La domanda di Gesù ai due discepoli di
Giovanni, che hanno cominciato a seguirlo, è davvero il principio, la radice,
perché noi siamo ciò che cerchiamo.
Oggi
a noi Gesù ripete la domanda essenziale: “Che cercate?”.
Forse
questa domanda ne contiene un’altra, più radicale: “Siete cercatori?”. Solo i
morti non cercano più nulla. “E che cercate?”. Da cosa o da chi cerco dipende
la mia vita e anche la vita degli altri.
La
ricerca indica una fame, una sete, di felicità, di vita, di amore, di senso. Sarà
per questo che Gesù dice che sono beati i poveri. I poveri sono sempre alla
ricerca. È la sazietà il grande rischio. Il ricevere tutto prima ancora di
averlo cercato è il grande rischio. Tutto diventa insignificante e vuoto e non dà alcuna gioia. La ricerca è scomoda e affascinante, movimento
interiore e fisico; è fatica, impegno, lotta. Lotta con se stessi anzitutto. E
conduce a una scoperta sempre nuova di senso, a un amore sempre più profondo.
Per questo, i discepoli a cui Gesù chiede “Che cercate?”, rispondono con un’altra
domanda: “Dove abiti, maestro?”.
Chiedere
“dove abiti?” significa cercare un’intimità con l’altro, con Colui che è l’oggetto
ultimo della ricerca: Colui che solo può colmarci di senso e insieme alimentare
il desiderio.
Chiedere
a Gesù “dove abiti?” significa chiedere “chi sei?, dov’è il tuo cuore?”. La
risposta di Gesù non è un indirizzo, ma un invito a seguirlo, a muoversi, a
camminare. Egli non è una risposta statica, morta. La sua risposta invita a
continuare la ricerca, ad approfondire l’incontro in un cammino sempre nuovo.
Perché Dio non è un idolo di pietra o di legno, non è un’ideologia, non è una
legge, ma è il Vivente. E la Vita è nuova ogni giorno.
E
andarono con lui, e videro e rimasero. Dopo molti decenni da quell’incontro, l’autore
annota l’ora di quell’esperienza di amore, di vita, di gioia: erano circa le
quattro del pomeriggio. L’ora di Dio nella vita dei due cercatori. E da quell’ora
– è ciò che scopriamo nell’ascolto del Vangelo – la loro vita fu una continua
ricerca e scoperta, fu una crescita continua nel cammino del dubbio e della
fede, della conoscenza di Dio, del suo amore, che si rivela come dono, accolto
e offerto.
Cominciarono
a quell’ora ad abitare con Gesù, che però – al contrario delle volpi che hanno
le tane - non ha dove posare il capo, non ha casa. Hanno cominciato ad abitare con
Lui per scoprire ogni giorno che Egli abita nel cuore di Dio e cerca casa nel
cuore di ogni uomo e di ogni donna. Abitare con Lui, dunque, significa abitare
il suo amore, il suo cuore. Mentre mi invita ad abitare con Lui, mi chiede di
entrare da me, come lo chiese a Maria di Nazaret, e trovò casa.
E abitando con Lui, anche la mia vita trova senso:
diventare dono.
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