LAURA BRANDOLI, Alba chiara
Ascensione del Signore
Atti 1,1-11
Sl 46
Ef 1,17-23
Mt 28,19-20
Da bambini il tempo non passa mai. E ti stanchi di aspettare…
la festa… l’arrivo di un amico… il regalo… il gelato… E non vedi l’ora di
diventare grande. E poi, da giovane, non vedi l’ora di passare l’esame, di
laurearti… di trovare lavoro… di sposarti… la nascita di un figlio…
Quando è ora?
Da adulto continui a ripeterla questa domanda. La vita è
fatta di attese. Chissà, forse è la domanda che ci facciamo più spesso: quando
è ora?
C’è nella Scrittura: “Sentinella, quanto resta della notte?”
(Is 21,11). L’attesa più grande, come una sete, è l’attesa del giorno, lo sanno
i malati. L’attesa della luce. Perché troppo spesso è notte nella vita.
Nonostante tante gioie, tante soddisfazioni, tante mete raggiunte… ne restano
sempre tante desiderate… rincorse… e che sembrano sempre così lontane. Tante le
frustrazioni, gli impedimenti…. Restano i desideri e le mete più importanti,
quelli che sentiamo come il vero frutto della vita, quelli che danno senso alla
vita, quelli che danno pace al cuore, e gioia profonda. Sono le risposte alla
speranza di vita, di pace, di salvezza non solo per noi stessi, ma per la
famiglia che amiamo, per la chiesa a cui apparteniamo, per la società in cui
viviamo. Quante paure! E quanti desideri, quante attese, quante lotte che
sembrano senza risultati, senza frutti, senza risposte… e cresce la sete, l’attesa…
Quando è ora?
È la domanda che i discepoli fecero a Gesù nell’ultimo
incontro con lui in Galilea, là dove tutto era iniziato: “Signore, è questo il
tempo nel quale ricostituirai il regno per Israele?”. In fondo erano andati
dietro a lui con questa attesa: che lui ricostituisse il regno di Israele. E il
frutto atteso di questo regno era lo shalom: la pace quella vera fatta di
libertà, di vita, di senso, di benedizione, di realizzazione, di relazioni
serene, di comunione vera.
Avevano visto crocifisso e sepolto Colui nel quale avevano
sperato e i due che andavano sconsolati verso Emmaus avevano smesso di sperare.
Ma Lui era tornato, vivo di una vita nuova, piena e invincibile, feconda di
pace. Era dunque quella l’ora? Finalmente era giunta?
Ma la risposta di Gesù, che in fondo conferma di essere
venuto a realizzare questo regno, lascia… con il cuore in attesa. Ancora. È una
risposta misteriosa.
“Non spetta a voi conoscere tempi o momenti che il Padre ha
riservato al suo potere, ma riceverete la forza dallo Spirito Santo che
scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea
e la Samarìa e fino ai confini della terra”.
Occorre ascoltare profondamente questa risposta. Pare che
Gesù ci metta – noi suoi discepoli – di fronte a un mistero che non è solo il
volere del Padre, ma un mistero che chiama in causa la nostra stessa volontà,
la nostra vita e la risposta che siamo disposti a offrire. Il mistero della
volontà del Padre si mescola e impasta con la nostra risposta. Non era accaduto
così con la vita e la risposta di Gesù di Nazaret alla volontà del Padre?
Ai discepoli di allora e a noi discepoli di oggi – che
rischiamo, come quelli di Emmaus, di sopire la speranza, di non attendere più –
viene l’invito, in questa festa\mistero dell'Ascensione, a non stare con il naso all’’in su ad attendere segni dal cielo,
perché anche se è salito al cielo, il Risorto, Dio fatto uomo per sempre,
seduto alla destra del Padre, continua a camminare sulla terra. Ha il volto
delle donne e degli uomini che camminano sulla terra oggi, in mezzo alle gioie,
ai dolori, alle attese, alle speranze, alle delusioni, alle lotte, alle
sconfitte, all’amore e all’odio, alla solidarietà e alle guerre, alle
generosità e agli egoismi. E ha il mio volto. La mia voce. Le mie mani. Di
ciascun discepolo e discepola. Per continuare a lavorare perché giunga il suo
regno di pace, di bellezza, di giustizia, di verità, di gioia.
Alla domanda “Sentinella, quanto resta della notte?”, Isaia
aveva risposto: “Viene il mattino, poi anche la notte; se volete domandare,
domandate, convertitevi, venite!” (Is 21,12).
Alla domanda dei discepoli Gesù risponde che lo Spirito – se
lo accogliamo – ci renderà capaci di testimoniarlo dove siamo e dove siamo inviati,
fino ai confini della terra. Spesso questi confini, i più
lontani, sono dentro di noi. Dentro di noi discepoli. Ma intanto cominciamo
ogni giorno a testimoniarlo, in noi e per gli altri.
Quale sia la testimonianza, Gesù ce lo chiarisce nel Vangelo
di Matteo, in questa festa dell’Ascensione: “Andate dunque e fate discepoli
tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito
Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato”. Il suo
comando è la testimonianza di un annuncio corredato di amore. Amore agli altri.
Ma anche a noi stessi. Sì, possiamo amarci. Perché siamo amati da Lui.
Nonostante tutto: limiti, problemi e peccati. No, no nonostante. Ma proprio là,
nei nostri limiti, problemi, contraddizioni, sconfitte, siamo amati. E proprio attraverso i nostri limiti, problemi, contraddizioni, sconfitte,
possiamo testimoniare un annuncio di vita, di speranza, di amore. Non ci ha
forse amati mentre era sulla croce? Più limitato e sconfitto di così! Ma l’amore
ha sconfitto la potenza del dolore e della morte. “Ed ecco, io sono con voi
tutti i giorni, fino alla fine del mondo”.
E allora, quando è ora? Forse è già questa l’ora.
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